Orme



13 Agosto 2023

Un passo dopo l'altro, i loro piedi affondano nella calda e umida sabbia del tardo pomeriggio. Luca si volta indietro ancora una volta, come a volersi accertare di aver lasciato un segno lungo il tragitto. Le rette parallele delle sue orme di tanto in tanto vengono rotte da quelle più piccole e disordinate del suo bambino.
Qualche gabbiano rimbalza qui e lì tra gli scogli e un vento leggero accarezza i capelli di padre e figlio. Man mano che si avvicinano alla battima, il suono ritmico delle onde si fa più intenso e presente. «Non correre! Aspettami!», esclama Luca portandosi la mano ai lati delle labbra. Il piccoletto raggiunge la riva per primo e il fascio dorato che si stende sullo specchio dell'acqua lo avvolge dolcemente nella sua brillantezza. Osserva con incanto il beccheggiare di una vecchia barca in lontananza e si concede qualche passo in avanti approfittando della risacca. Le onde quiete adesso bagnano i suoi piedini.
Luca si mette seduto su uno scoglio a pochi metri di distanza. I suoi occhi non lo perdono mai di vista, neanche mentre si accende una sigaretta. Lo guarda danzare sgraziatamente sul bagnasciuga tra i riflessi ambrati del sole che illuminano i suoi folti ricci.

- È forse il bambino più meraviglioso che sia mai esistito o sono soltanto gli occhi di un padre? Dovresti vederlo in questo momento. Non troverei le parole per descriverti tutta la bellezza che c'è in lui.

«Vieni qui da me, cucciolo.»

Il bimbo si volta soltanto per un attimo e ancora una volta quei due occhi azzurri come il ciello riescono a incantare il suo papà.

- Potrà sembrarti stupido ma, sai, mi capita di pensarti. Sarà che ho pestato qualche merda di troppo negli ultimi tempi. Pensarti è forse un modo per ricordarmi che, dopotutto, c'è anche del bello.

Capita certe volte che ogni cosa è semplicemente come dovrebbe essere. Quei piccoli momenti ai quali il più delle volte non badiamo, inghiottiti come siamo dalla frenetica monotonia delle nostre vite. Eppure, è tutto lì, in quegli attimi di dolcezza. Ditemi se sbaglio. Il sorriso di un senzatetto, l'ombra sotto gli ulivi, la legna che arde nel camino, l'erba umida del mattino, le stelle. Stralci di un sogno da cui ci destiamo sempre troppo presto. Cosa è reale e cosa non lo è? Che importanza ha! Siamo e saremo sempre parte del tutto e il tutto è in noi. Non è forse vero che i sogni sono reali quanto una data prestabilita, un grande parcheggio, una corsia di ospedale? Ditemi se sbaglio. Anzi no, non ditemelo.

«Papà, perché il mare è blu?»

I loro volti tinteggiati di oro si osservano. In quel silenzio, rotto soltanto dal respiro del mare e dal canto di qualche gabbiano in lontananza, imparano a conoscersi e lo fanno in un modo che sfugge alle leggi del mondo.

«Vedi cucciolo, io non so come dirtelo. È una cosa che avrei preferito dirti quando saresti stato più grande. Ma sei già un ometto e forse riuscirai a sopportare la dura verità.»

La buffa smorfia sul suo viso è tutto un programma. Il suo sguardo è pieno di trepidazione. Pende dalle labbra del padre.

«Il mare», dice Luca con tono sommesso e l'espressione alla Clint Eastwood, «altro non è che un frullato di puffi. Ecco, l’ho detto.»

Per un secondo il suo dolce visino si fa serio. Luca trattiene a stento una risata.

«I puffi? Ma che dici!», fa il piccoletto con aria pensierosa. Sembra che l'idea lo diverta. «Va bene. Allora dimmi perché è salato.»

«Beh, pensavo ci arrivassi da solo. Sono tutte le lacrime che hanno versato i puffi prima che venissero frullati a renderlo salato.»

Il bimbo scoppia a ridere mentre strattona la camicia del padre. È abituato a questo tipo di scemenze. Capita spesso che trascorrano delle ore a inventarsi storie strampalate e divertenti sulle cose del mondo.

- Ha il tuo sorriso. I tuoi occhi. Quegli occhi che da un po' di tempo a questa parte mi svegliano la notte. Gli stessi occhi che mi fissano e mi implorano di fare qualcosa prima di vederti sparire nel buio, lasciandomi lì ad aspettare mille anni.

«Vieni qui, scemotto.», dice Luca con voce dolce. Gli passa la mano sulla testa scompigliandogli i morbidi capelli. Poi lo fa sedere sulle sue ginocchia. «Esiste da sempre una cascata di colori che dal sole si riversa fin qui e colora tutto il mondo. Solo in certi giorni puoi vederla, quelli in cui ha appena smesso di piovere. Si mostra nel cielo e le diamo il nome di arcobaleno.»

- Ti ho baciata? Ti ho abbracciata? Non ricordo. Ciò che è rimasto vivido nella mia mente è quella porta che si chiude lentamente davanti a me. Ti guardo mentre ti allontani in fila indiana con altre come te lungo un corridoio nero. Ti volti per un secondo, alzi la mano e io vorrei fare qualcosa, ma non so bene cosa.

Il piccolo appoggia la testa sul petto del papà, lasciandosi cullare dalle tenere melodie del mare e da quelle parole che suonano così magiche. Con lo sguardo sognante e il ditino puntato verso su disegna parabole di mille colori che scendono giù dal cielo. Il sole si adagia lentamente sullo specchio dell'acqua, oltre la linea dell'orizzonte. Luca lo stringe più forte a sé, come se anche una leggera folata di vento potesse portarselo via da un momento all'altro.

«Gran parte dei colori attraversa l'acqua e si disperde nei fondali. Ma il blu, che è anche il colore dei tuoi occhi e di quelli della tua mamma, si spande sulla superficie e colora tutto il mare.»

- «Vieni qui, scemotto.», mi dicesti con gli occhi che ti brillavano. «So che tu ci sarai in ogni caso.» Eravamo così giovani, incauti, innamorati. È successo millenni fa e ti confesso che ancora oggi mi chiedo cosa ne sarebbe stato di noi se quel giorno... Qual era la cosa giusta da fare? Cosa potevamo saperne noi! Cosa volevamo davvero io e te? Ci lasciammo convincere l'un l'altra e tuttavia quei nostri fugaci scambi di sguardi, quando ci perdevamo nel silenzio delle tante notti insonni, non riuscivano a mentire.

Uno sbadiglio dopo l'altro, il piccolo si addormenta tra le braccia del papà.

- Niente è stato più come prima. Iniziammo a guardarci in modo diverso. I nostri abbracci non erano più gli stessi. Ci amavamo ancora ma qualcosa si era rotto per sempre. E alla fine, te ne sei andata.

Il vento si è alzato e Luca fatica ad accendersi una sigaretta. Si guarda intorno con lo sguardo perso e l'aria di chi non ha fretta di tornare. Accarezza lo scoglio su cui è seduto e in quel momento la solitudine lo colpisce dritto allo stomaco. Certe volte un uomo non sa proprio cosa farsene di chilometri e chilometri di spiaggia deserta e di un magnifico tramonto. Riflette sul fatto che magari scriverà qualcosa una volta rientrato a casa. Poi pubblicherà quel banalissimo groviglio di frasi su uno stupido blog. Forse ci metterà dentro un po' di parolacce, tanto per innervosire lo stronzone di turno che coglierà l'occasione per sbrodolare insipidi rimbrotti sull'etica e cazzate simili nella speranza che arrivi qualche babbeo a fare il tifo per lui.
Afferra un po' di sabbia e la fa scivolare giù dal pugno. «Ehi vecchio mio, acqua in bocca», dice a bassa voce rivolgendosi al mare. «Gira voce che io sia un duro. Lasciamo che ci credano.» Si tira su e inizia a incamminarsi verso l'auto. Incrocia le orme di qualche ora prima - due insignificanti rette parallele - e passo dopo passo le distrugge. Si volta indietro ancora una volta, come a volersi accertare di non aver lasciato tracce lungo il tragitto.


A G.
Ti conosco da sempre, eppure quegli occhi, mentre guardavi tuo figlio, non te li avevo mai visti. Tu non lo sai, amico, ma quel tuo sguardo mi ha emozionato, e per questo ti ringrazio.


Have You Ever Seen the Rain - Jonathan Clark